Cibo e identità locale

La pubblicazione ricostruisce il “modello” sul quale si basano alcuni casi di “cultura alimentare” dove la difesa e la valorizzazione del patrimonio legato ai sistemi agroalimentari locali tradizionali innesca processi virtuosi di rigenerazione comunitaria.

A partire da una ricerca sul campo ampia e approfondita, il libro presenta sei esperienze lombarde (ormai non più così isolate) come esempi paradigmatici di una rinascita di luoghi della Lombardia non omologati ai modelli dominanti. Luoghi che esprimono forme di “autogoverno” dei territori locali e una proiezione verso un futuro all'insegna di uno sviluppo autosostenibile.

L’asparago rosa di Mezzago (Mb), risorto a nuova vita, il grano saraceno autoctono di Teglio (So), la cui coltivazione è andata ri-estendendosi in tempi recenti. Il vigneto Pusterla/Capretti di Brescia, il più grande vigneto urbano d’Europa, risorto nel 2011 grazie all’impegno rinnovato della sua proprietaria; la ripresa della produzione del prestigioso mais “spinato”, il più antico della Lombardia. A Corna Imagna (Bg) la produzione, ormai quasi “clandestina”, del tradizionale “stracchino all’antica”, rivitalizzata grazie a una progettualità di rigenerazione comunitaria stimolata in prima persona dal Comune. E a Gerola Alta (So) il caso della “Casa del bitto”, espressione di una dura resistenza durata vent’anni dei produttori del “bitto storico” contro veri e propri attentati burocratici al metodo tradizionale di produzione.

Cibo e identità locale.
Sistemi agroalimentari e rigenerazione di comunità.Sei esperienze lombarde a confronto.

​Autori: Michele Corti, Sergio De La Pierre, Stella Agostini
Edito da: Centro Studi Valle Imagna
Pagine: 526
Luogo di edizione: Sant'Omobono Terme (Bg)
Anno di edizione: 2015

La ripresa della tradizione musicale del corno pastorale

E’ in un grande affresco nella chiesa di San Lorenzo a Berzo Inferiore, in Valcamonica, che è stata individuata la più antica testimonianza iconografica di corno pastorale, il progenitore dell’Alphorn svizzero (immagine di copertina). Ma è interessante notare che l’uso dei corni non si è interrotto per più di due millenni. Già nel 37 a.C Marco Terenzio Varrone descrive l’usanza di guidare gli animali con il suono dei corni. E in Bergamasca e in Valcamonica la tradizione è tutt’ora viva.
Il lugubre urlo dei corni risuona infatti nei riti rurali di fine inverno: a Dossena (BG) nel “Ciamà Mars” e “Scasà Mars” a inizio e fine marzo, all’Aprica nel “Sunà da Mars”, l’ultima notte di febbraio, a Saviore dell’Adamello, la sera del venerdì santo nel “Ciamà le püte”.

Non solo. Il corno pastorale è protagonista anche dell’iniziativa intitolata “In nome di Maria“ che si terrà da sabato 21 febbraio a sabato 11 aprile 2015 nei comuni di Berzo Inferiore, Bienno, Esine, Prestine e Piancogno. Un evento organizzato dalle Amministrazioni Comunali in collaborazione con le rispettive Pro Loco ed Enti turistici.
La rassegna si è aperta sabato 21 febbraio con “Falò e corni“, una suggestiva proposta durante la quale, a partire dalle ore 20.30, i cinque Comuni partecipanti si sono illuminati di suoni ancestrali. Lo spettacolo è iniziato presso il santuario della Beata Vergine della Consolazione di Prestine, con l’accensione del primo falò al suono del corno.
Seguiranno altre iniziative. La prossima sarà:
– sabato 21 marzo: “Cursus Bovis Vernali“, a partire dalle ore 14.00 la processione del bue inizierà da Prestine, scendendo poi nei diversi paesi per risvegliare la terra e distribuire semi di grano e fasci di ulivo;

Quella del corno alpino è una tradizione che conquista ancora facendo rivivere atmosfere sonore antiche…

Consulta il programma completo della rassegna “In nome di Maria”, in Val Grigna (BG)

LACING SHOW 1: al Museo del Tessile la prima performance di merletto al tombolo

Il progetto “Design al Tombolo”, finanziato da E.CH.I. all’interno delle attività di promozione creativa dei territori e dei loro patrimoni immateriali, continua a suscitare interesse!
Le borse transfrontaliere progettate da sei designer del Politecnico di Milano in collaborazione con la comunità di merlettaie al tombolo di Cantù, saranno ospitate al Museo del Tessile e della Tradizione Industriale di Busto Arsizio (VA).
L’iniziativa è di Bottega Artigiana, un contenitore di progetti nato per promuovere la conoscenza degli antichi mestieri e l'arte artigiana italiana, attraverso mostre, laboratori, dibattitti. Tema dell’esposizione e della tavola rotonda è:
“Progetti, intenzioni, storie e notizie del mondo tessile”.

A seguito della tavola rotonda debutterà l'evento “Lacing Show: performances itineranti di merletto al tombolo”, organizzato dal Comitato per la Promozione del Merletto di Cantù e patrocinato da E.CH.I. Un circuito di eventi nella città di Milano finalizzati a promuovere il lavoro delle merlettaie all’opera per la realizzazione di 4 tovaglie in merletto disegnate da famosi designer: Patricia Urquiola, Luca Scacchetti, Alessandro Mendini, Ugo La Pietra. La “tovaglia in merletto” diventa occasione per interpretare il tema di EXPO2015 attraverso un elemento del corredo protagonista “prezioso” delle ritualità di consumo e condivisione del cibo in Italia.

Programma
Busto Arsizio 13 marzo 2015                  
Museo del Tessile e della Tradizione Industriale
Via Alessandro Volta 6/8      15.00      17.00
Tavola rotonda sul tema:
“PROGETTI, INTENZIONI, STORIE E NOTIZIE DEL MONDO TESSILE”
Interverranno:
Renata Casartelli, Presidente del comitato per la Promozione del Merletto di Cantù
Alberto Cavalli, Presidente di Fondazione Cologni : I mestieri d’arte alla radice dell’eccellenza italiana
Ugo Crespi, docente di tecnologia tessile ,Associazione ex allievi e sostenitori Itis Busto Arsizio
Pino Grasso, maestro d’arte: Storytelling
Ilaria Gugliemetti, designer: Design al Tombolo. Progetto di un intreccio. Un’ azione di valorizzazione promossa da E.CH.I.
Paolo Pianezza, imprenditore: Storytelling
Ilario Tartaglia, ingegnere tessile: La tessitura a mano: la tessitura a mano può giocare ancora un ruolo nel XXI secolo, nell’era della robotica?
Modera il dibattito la giornalista Carla Tocchetti

A seguire:
“Lacing Show: performance di merletto al tombolo di Cantù”

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Rilancio del Popoc da marz in Val Poschiavo

In Val Poschiavo , con la tradizionale festa “Popoc dal prim da marz” ( “Pupazzo del 1° Marzo”) la comunità ha scacciato l’inverno ed accolto la primavera!
Le origini di questa tradizione risalgono all’età precristiana. Per i Romani alle calende di marzo (il 1° marzo) iniziava l’anno nuovo e nel Medio Evo in numerosi comuni retici le autorità entravano in carica. Con questo retroscena in molte regioni dell’arco alpino si rinnovano ogni anno diverse usanze per scacciare l’ inverno e salutare la primavera.

La festa negli anni si è andata progressivamente perdendo, presentandosi nelle ultime edizioni come una confusa interpretazione in chiave carnevalesca. Ecco perchè a Poschiavo è stato coinvolto un gruppo di lavoro espressamente incaricato di recuperare alcuni elementi storici attraverso attività svolte all’interno della programmazione scolastica.

Quest’anno il corteo per il borgo è infatti tornato ad essere caratterizzato dal chiassoso frastuono dei campanacci, dalle grida che “scacciano l’inverno e chiamano l’erba “(ciamà l’erba) e dai canti che invitano la primavera a tornare. Gli impressionanti “Popoc”, costruiti autonomamente dagli scolari e trasportati con l’ausilio di carri, da semplici fantocci di paglia si sono evoluti in laboriose installazioni, che riprendono problemi di attualità come guerre, disoccupazione e inquinamento.
Una manifestazione più in linea con la tradizione che ha riscoperto canti ma anche espresso un sentito momento di critica sociale, riflettendo così l'evoluzione sociale e il mutamento della percezione collettiva della stagione invernale. A questa si aggiunge, attraverso la responsabilità concessa ai ragazzi nell'organizzazione e realizzazione autonoma dell'evento, un valore di iniziazione alla vita adulta.

Il Carnevale di “segale”: il cereale di montagna diventa abito rituale

Non solo pane, non solo paglia per la lettiera degli animali o materiale isolante per la costruzione dei tetti. La segale o meglio la paglia di segale diventa anche abito rituale in occasione del Carnevale!
E’ il Carnevale Alpino di Valdieri (CN) nel cuneese che ha quale indiscusso protagonista l’Orso di paglia di segale, ripresentato dall’Ecomuseo della Segale (con il sostegno del Parco naturale delle Alpi Marittime e dal Comune di Valdieri), recuperando la memoria di un anziano del luogo che da giovane aveva interpretato più di una volta la mitica figura carnevalesca.

Dopo un lungo periodo d’interruzione durato circa quarant’anni, a partire dal 2007, l’Orso è ritornato a correre per le vie di Valdieri. Spaventa i bambini, fugge dai domatori, importuna le donne, evita l’acquasanta dei frati esorcisti: il suo risveglio dal letargo comunica alla gente che la cattiva stagione sta per finire. Nella tradizione l’orso emetteva ringhi minacciosi, faceva i dispetti, insolentiva le donne e ne sceglieva infine una per ballare. Al termine della festa l’orso di segale fuggiva, allontanandosi all’orizzonte nonostante gli sforzi e i richiami del domatore: al suo posto iniziava a bruciare su una catasta di legno un fantoccio (cicho) di paglia di segale. Nelle versioni di oggi l’irruzione dell’orso di segale, avviene di pomeriggio, nella piazza principale. Scende dalla montagna per esibirsi – secondo un copione rimasto invariato – con ruggiti, mattane e dispetti. Da circa cinque anni, l’orso non viene più rivestito con la lunga treccia di segale che si usava una volta, ma indossa un costume su cui la corda di paglia è stata fissata una volta per tutte.

Questa edizione della manifestazione si arricchirà della presenza di un altro orso mitologico quello di Monpantero di Urbiano in Valle Susa. Sfileranno insieme nel centro storico di Valdieri con le altre figure tradizionali del carnevale locale: la Quaresima, i Perulier e i Frà che declameranno le “epistule”: frasi scherzose e ironiche su personaggi famosi e abitanti delle frazioni vicine.
A pranzo si rinnova la consuetudine della distribuzione degli gnocchi da parte della Proloco sotto i portici del Municipio. Una distribuzione che un tempo era somministrata gratuitamente ai valdieresi che si presentavano muniti di vaso da notte… pratica fortunatamente caduta in disgrazia!

La manifestazione è preceduta sabato 21 febbraio, da una Conferenza sulle “Feste d’inverno nelle valli occitane alpine: ritualità e simbologia, costumi e personaggi” (a cura di R.Pellerino, Associazione Espaci Occitan).

Quasi scomparsa dal paesaggio piemontese la figura dell’orso carnevalesco sembra dunque rivivere una nuova stagione insieme alla segale che, ricordiamo, è il più “alpino” fra i cereali e gode di un rinnovato interesse su tutta l’area transfrontaliera italia-svizzera.

I Carnevali alpini fra riti di fertilità e “trasgressione alimentare”

Il Carnevale, oltre alla sua valenza rituale, ha anche una connotazione culinaria che lo rende speciale!
Deriva, infatti, dal latino “carnemlevare” (eliminare la carne), poiché anticamente indicava il banchetto che si teneva subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima.
Nell'area alpina il Carnevale si è sovrapposto quasi ovunque a rituali ben più antichi che celebravano la fertilità della terra, anche attraverso i suoi prodotti. Il cibo, infatti, è elemento essenziale della cultura umana e lo vediamo entrare in rituali religiosi con una funzione simbolica e aggregante potentissima. Nell’immaginario comune il Carnevale ha come caratteristica peculiare la possibilità di non sottostare alle regole, anzi di rovesciarle o stravolgerle. E’ il trionfo di una specie di liberazione temporanea dal regime esistente, abolizione di rapporti gerarchici, di privilegi regole e tabù. Questa sorta di “ribellione” si traduce anche in una “trasgressione alimentare”, o meglio “grande abbuffata”!

I dolci che incontriamo sui territori in occasione del Carnevale sono per lo più fritti. Quest’usanza deriva dal fatto che in gennaio/febbraio la natura e le pratiche agricole prevedevano la macellazione dei suini con la conseguente abbondanza di grasso di maiale o strutto. Dal giovedì al martedì – settimana non a caso detta “grassa” – si friggevano i dolci nello strutto che andava consumato in fretta perché durante la lunghissima Quaresima, non essendoci frigoriferi, sarebbe sicuramente irrancidito.
Tutte le ricette sono derivate principalmente dalla preparazione di due elementi semplici, ma nello stesso tempo pregni di simbologia: la farina e l'acqua con l'aggiunta di condimenti vari.

A Sueglio (LC) in Valvarrone, in occasione del Carnevale si possono degustare le scarpasce, frittella salata tipica del posto. Ha la forma piatta che ricorda la suola di una scarpa e che trova nella farina, nel pane, nel latte ma anche nel riso e nel formaggio, gli ingredienti base anche se, trattandosi di un piatto tramandato, probabilmente non c’è una ricetta originale.

Il Carnevale piemontese della comunità walser, in Val Formazza (VB), prevede la preparazione dei gruschli, ancora oggi simbolo dell’ospitalità della comunità walser. Sono delle frittelle appiattite di forma romboidale, simili alle chiacchiere, alle bugie o alle frappe – nomi regionali che stanno a indicare il medesimo dolce – accompagnate spesso da panna montata. Erano preparati dalle donne nei momenti di festa, durante la sera del Natale e durante il Carnevale. Gli ingredienti, rimasti invariati, sono: latte, burro, uova, zucchero con l'aggiunta della grappa.

Il Carnevale valdostano di Étroubles, come molti altri Carnevali, prevede una ricchissima questua, occasione per celebrare la fertilità della terra e trasgredire prima del forzato digiuno. La bènda (banda) effettua all'incirca quattordici tappe dove ogni volta trova al suo passaggio abitanti che offrono bevande e cibo nelle loro taverne o garage.

Alcune ricette del Carnevale si sono perse ma altre sono sopravvissute e continuano a dimostrarsi “cibi” dalla forte connotazione aggregante, palesando come l’alimentazione sia un “documento vivo” che coinvolge intensamente le comunità!

Il formaggio Bitto fa rete: nasce il progetto “I prìncipi delle Orobie”

Il formaggio Bitto è uno dei simboli della produzione casearia lombarda e vanta anche un primato che ben pochi prodotti hanno: fu già protagonista dell’EXPO milanese del 1906! Senza contare la presenza all’Esposizione Nazionale del 1861 a Firenze e le menzioni nelle guide gastronomiche del Rinascimento.

Il nucleo storico della sua produzione s’individua nelle valli Gerola e Albaredo, formate dal torrente Bitto da cui prende il nome, in provincia di Sondrio, a un’altitudine che va dai 1.400 ai 2.000 metri.
Negli ultimi anni il “Consorzio per la salvaguardia del Bitto storico”, l'associazione di produttori di formaggio Bitto che comprende i 15 caricatori d'alpe rilevatari degli alpeggi storici, ha lavorato per il rispetto di un disciplinare ligio alla tradizione secolare.  Si fanno chiamare i “Ribelli del Bitto” e costituiscono un vero e proprio “movimento” legato al più ampio progetto “Resistenza Casearia”, sostenuto dall’Unione Europea e dalla Fondazione Slow Food. In più di vent’anni i caseari hanno difeso con tenacia un disciplinare di produzione severissimo: l'uso del 10-20% di latte di capre orobiche, la produzione esclusivamente sui pascoli durante i mesi estivi, l'uso della legna per alimentare il fuoco sotto il paiolo in cui si riscalda il latte etc…

In vista dell’EXPO, il Consorzio Bitto Storico, insieme a una rete di attori locali, sta definendo il progetto “I Prìncipi delle Orobie”. Sette valli, 8 formaggi, 13 alpeggi, 20 rifugi…Un circuito di vie dedicate ai formaggi orobici organizzati in diversi percorsi che si snodano lungo la dorsale orobica occidentale. Non solo Bitto, dunque, ma anche Strachitunt, Stracchino della Valsassina, Formaggio d'alpe dei Piani di Bobbio, Stracchino all'antica delle valli orobiche, Agrì di Valtorta, Bitto storico, Formagì di capra Orobica, Roviöla di capra. Una iniziativa rara in cui 8 formaggi prodotti in un territorio omogeneo si mettono insieme con un obiettivo comune: dimostrare la presenza di una “comunità di pratica” che difende metodi di produzione tradizionali. Un progetto in cui l’auto-organizzazione è elemento vincente. Tutta la comunità del territorio è infatti chiamata a interagire alla costruzione dei percorsi inviando waypoints, tracce (anche gpx), fotografie localizzate, piccole schede relative a manufatti, fatti storici, leggende ecc. Chi formulerà utili elementi sarà citato tra i “progettisti” del percorso.
I turisti potranno visitare gli alpeggi, utilizzare i rifugi, percorrere sentieri caratterizzati da testimonianze storiche (vie commerciali, miniere, chiese affrescate, borghi storici). Scoprire un’area che assomiglia sempre più a un vero e proprio distretto della biodiversità alpina. Non solo un circuito di formaggi d’alpeggio ma una comunità di pratica in azione!

Consulta
Consorzio per la salvaguardia del Bitto storico
Presidio Slow Food “Valli del Bitto”
RIbelli del Bitto – blog

La “Foire de Saint Ourse” nelle creazioni grafiche dei suoi manifesti

Prima di tutto c’è un numero, che incuriosisce e sorprende: la 1015° edizione della Foire de Saint Ourse! Sì, perché ad essere premiato, attraverso un bando di concorso indetto dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta, è un manifesto dedicato proprio a una Fiera millenaria che si tiene ogni anno il 30 e il 31 gennaio ad Aosta.

Fonti storiche documentano che sin dal Medio Evo la Fiera si svolgeva nel Borgo di Aosta, nell’area circostante la Collegiata che porta il nome di Sant'Orso. Racconti leggendari narrano che tutto ha avuto inizio di fronte la Chiesa dove il Santo, vissuto anteriormente al IX secolo, era solito distribuire ai poveri indumenti e “Sabot”, tipiche calzature in legno ancora oggi presentate in Fiera.
Sono questi alcuni dei riferimenti storici, insieme a tutti quegli elementi di “tipicità” che caratterizzano la Fiera, a diventare le fonti d’ispirazione per il lavoro dei creativi.
Da più di 40 anni, la Fiera di Sant’Orso è infatti promossa attraverso progetti grafici realizzati da noti artisti. Molti sono i manifesti ad opera del maestro (valdostano) della grafica, della pittura e del design, Franco Balan. In tempi più recenti, giurie di esperti hanno valutato non solo l’impatto visivo ma la correttezza e puntualità dei contenuti culturali. Il risultato è una collezione unica nel suo genere: una raccolta di manifesti a partire dalla 971° edizione, custoditi presso l’Archivio IVAT – Institut Valdôtain de l’Artisanat de Tradition.
Come annunciato dalla Giuria nello scorso dicembre, il vincitore che firma l’edizione 1015 °è il grafico aostano Elena Capra. Anche in quest’ultima creazione, determinante è stata la capacità di interpretare e riproporre quegli oggetti, quegli elementi del territorio e quei riferimenti simbolici che fanno la specificità della Fiera, rendendola unica e riconoscibile. Un processo di interpretazione che contribuisce in modo creativo alla trasmissione stessa del contenuto culturale dell'evento.

La Fiera, che ha la funzione di valorizzare l’artigianato di tradizione valdostana e che rappresenta soprattutto un appuntamento fortemente radicato e vitale, sarà visibile anche  attraverso la diretta video pubblicata sul sito web fieristico.  

Ma oltre alla visita alla Fiera, c'è un percorso di fruizione alternativo.
Quello che si è formato negli anni grazie al lavoro di documentazione dei manifesti sostenuto dall'Archivio IVAT.
Una raccolta di immagini poetiche che raccontano, attraverso la sintesi grafica, la complessità di significati che può esprimere, ancora oggi, una fiera millenaria.
Molto di più di una collezione di manifesti.
Un vero e proprio itinerario visivo dedicato all’ eredità culturale di una comunità.

Processioni con candele benedette per festeggiare il ritorno del sole

Il rito della Candelora, che cade il 2 febbraio, è la festa della Presentazione del Signore al Tempio e della Purificazione di Maria. Ma è anche una ritualità tipica del mondo contadino che propizia la primavera nei primi giorni di febbraio. Elemento costante è la benedizione delle candele bianche alle quali la pietà popolare attribuisce virtù contro le calamità, le tempeste e a protezione dei morenti.

A Viganella, paese piemontese della Valle Antrona (VB), la Candelora si celebra ogni anno il 2 febbraio per festeggiare il ritorno del sole nel centro storico del paese. A partire dai primi di novembre, infatti, la catena montuosa a sud del nucleo abitato fa da schermo all'insolazione invernale. La cerimonia coincide anche con lo spegnimento dello specchio solare che, in inverno, riflette i raggi del sole sulla piazza. Ma l’attrattiva principale della festa sono le “cavagnette”, gli alberi rituali portati in processione dalle donne sposate e la benedizione della “pescia”, l'albero su cui rami sono appesi i doni. I lunghi ceri bianchi completano il costume tipico delle donne del paese.
Sempre in Piemonte, la prima domenica di febbraio si tiene la festa della Candelora anche nella comunità Walser di Salecchio (VB), un interessantissimo incontro dove i Walser (rigorosamente vestiti con il costume tipico) accomunano una giornata per festeggiare la fine dell'inverno. Il percorso va da Salecchio Inferiore a Salecchio Superiore e rappresenta una sorta di pellegrinaggio nella neve con candele in mano. Si celebrerà quest’anno la domenica 8 febbraio 2015.
In Lombardia, nel Lodigiano, è festeggiata a Salerano sul Lambro (quest'anno la domenica 1 febbraio 2015), con candele benedette, musica e gli antichi piatti lodigiani.
Anche nella Bergamasca, ad Almenno San Salvatore presso il santuario di Nostra Signora del Castello, la Candelora è un evento molto partecipato. In questo giorno, ogni anno, scendono nella cripta e sostano in preghiera migliaia di persone provenienti dai paesi che in passato erano soggetti alla pieve di Almenno.

La festa della Candelora, diffusa in tutta Italia, si porta con sé anche una ricchissima serie di proverbi popolari che hanno importanti nessi con la meteorologia proprio per la collocazione del rito nel “mezzo inverno”. La Candelora veniva più precisamente presa in considerazione come segnale predittivo su cosa avrebbe riservato la seconda parte della stagione fredda. Un esempio, fra i proverbi più in voga in Lombardia ma esistente in numerose varianti in tutta Italia, recita:

La Madonna Candelora
dell'inverno semo fora,
ma se piove o tira vento
dell'inverno semo dentro;
sole o solicello quaranta dì d'invernicello.
(Anonimo)

Gli antichi riti contadini di cacciata dell’inverno risuonano nelle notti gelide di gennaio

I riti di “Cacciata di Gennaio” tornano puntualmente il 31 gennaio, sfidando maltempo e pronti ad allontanare un altro terribile inverno! Alle prime ombre notturne si formano i rumorosi cortei, un frastuono volutamente assordante prodotto con la percussione di campanacci, piatti da cucina, campanelli, scatole di metallo che anticipano il vero e proprio rogo del fantoccio, simbolo dell’ inverno.
Alcuni dettagli distinguono  le diverse formule ancora vive sui territori.

A Premana (LC), gli attori principali della “Casciada de ginger” sono i bambini. I piccoli cominciano giorni prima a preparare un proprio pupazzo che verrà bruciato la sera della festa. Imbottiti con carta o paglia, i tratti del viso dipinti o ricamati e i vestiti cuciti a mano, questi fantocci faranno parte del chiassoso corteo che attraversa le vie del paese.

Anche a Mandello del Lario (LC) i protagonisti sono i bambini che camminano trascinando sull'acciottolato scatole di latta, bottiglie di plastica, tappi e oggetti da cucina che suonano e risuonano sbattendo l'uno contro l'altro. In questo caso però il fantoccio è uno solo: un pupazzo di carta con la faccia disegnata, che, seduto su un baldacchino, viene trasportato in spalla da quattro bambini.

La “Scasada del Zenerù” a Ardesio (BG) vede il coinvolgimento intenso di tutti gli abitanti dell’ Alta Valseriana. Una vera e propria nottata di magia, un evento rituale patrocinato da Regione Lombardia – Commercio, Turismo e Terziario, dalla Provincia di Bergamo e da molti altri Enti Pubblici sul territorio. Alle ore 20.00 parte il corteo a cui  partecipare picchiando su pentole e latte fino al  rogo dello “Zenerù”, pupazzo che alcuni giovani del paese preparano per simboleggiare il mese di gennaio! Ogni hanno gli organizzatori propongono un tema che farà da “sceneggiatura” allo svolgersi del rito: tema del 2015 “Vendöl di Ludrigno”! Come spiegano gli organizzatori: “… il Zenerù proverà a sfuggirci ma sarà travolto dalla valanga di Ludrigno e nonostante i tentativi di sciogliere la neve con il fuoco, come sempre lo spaventeremo, lo cattureremo e lo manderemo al rogo, bruciando così, con lui, la cattiva stagione in attesa del risveglio della Natura!” (Proloco di Ardesio)

A Olda, in Val Taleggio (BG), si riuniscono gli abitanti della Valle provenienti da Sottochiesa, Vedeseta e Peghera e il corteo si apre alle grida “l'è fò génèr l'è scià fébrèr!”. Il fantoccio bianco brucia dopo una lunga caciara prodotta con la percussione di ciòche (campanacci), piatti da cucina, corni, campanelli e tole (scatole di metallo).

Anche in Valtellina il rito è molto vissuto dalla comunità:  i comuni di Tirano, Bormio e Aprica (SO) fanno staffetta a partire dalla serata del 31 gennaio. Si inzia con il rito “Tirà li tòli” a Tirano e si continua il 3 febbario con “L’è fö l’urs de la tana”, un’usanza  in cui bambini e adulti faranno a gara, ricorrendo a pretesti e stratagemmi più o meno verosimili, per far uscire dalla propria abitazione amici e parenti, gridando “L’è fö l’urs de la tana”, cioè è uscito l’orso dalla tana dopo il lungo inverno. Si continua il 1 marzo a Aprica dove andrà in scena il tradizionale “Sunà da Mars”, antichissima usanza di chiamare l’erba con campanacci e campanelli percossi ritmicamente da sei “scampanatori” in costume tipico, in rappresentanza delle sei contrade del paese.

Nel Canton Ticino, in Svizzera, sono due gli appuntamenti importanti: a Chironico con il “Cóvo d sgianéi” (coda di gennaio) che ha ritrovato un certo vigore grazie all’iniziativa di un locale gruppo d’animazione. E a Locarno con il “Bandir Gennaio”, in cui moltissime famiglie con bambini si danno appuntamento per rinnovare il divertente corteo.

Anche quest’ anno, dunque, gli antichissimi riti contadini di cacciata dell’inverno risuonano nelle notti gelide di gennaio per la gioia dei più piccoli!