Il Carnevale di “segale”: il cereale di montagna diventa abito rituale

Non solo pane, non solo paglia per la lettiera degli animali o materiale isolante per la costruzione dei tetti. La segale o meglio la paglia di segale diventa anche abito rituale in occasione del Carnevale!
E’ il Carnevale Alpino di Valdieri (CN) nel cuneese che ha quale indiscusso protagonista l’Orso di paglia di segale, ripresentato dall’Ecomuseo della Segale (con il sostegno del Parco naturale delle Alpi Marittime e dal Comune di Valdieri), recuperando la memoria di un anziano del luogo che da giovane aveva interpretato più di una volta la mitica figura carnevalesca.

Dopo un lungo periodo d’interruzione durato circa quarant’anni, a partire dal 2007, l’Orso è ritornato a correre per le vie di Valdieri. Spaventa i bambini, fugge dai domatori, importuna le donne, evita l’acquasanta dei frati esorcisti: il suo risveglio dal letargo comunica alla gente che la cattiva stagione sta per finire. Nella tradizione l’orso emetteva ringhi minacciosi, faceva i dispetti, insolentiva le donne e ne sceglieva infine una per ballare. Al termine della festa l’orso di segale fuggiva, allontanandosi all’orizzonte nonostante gli sforzi e i richiami del domatore: al suo posto iniziava a bruciare su una catasta di legno un fantoccio (cicho) di paglia di segale. Nelle versioni di oggi l’irruzione dell’orso di segale, avviene di pomeriggio, nella piazza principale. Scende dalla montagna per esibirsi – secondo un copione rimasto invariato – con ruggiti, mattane e dispetti. Da circa cinque anni, l’orso non viene più rivestito con la lunga treccia di segale che si usava una volta, ma indossa un costume su cui la corda di paglia è stata fissata una volta per tutte.

Questa edizione della manifestazione si arricchirà della presenza di un altro orso mitologico quello di Monpantero di Urbiano in Valle Susa. Sfileranno insieme nel centro storico di Valdieri con le altre figure tradizionali del carnevale locale: la Quaresima, i Perulier e i Frà che declameranno le “epistule”: frasi scherzose e ironiche su personaggi famosi e abitanti delle frazioni vicine.
A pranzo si rinnova la consuetudine della distribuzione degli gnocchi da parte della Proloco sotto i portici del Municipio. Una distribuzione che un tempo era somministrata gratuitamente ai valdieresi che si presentavano muniti di vaso da notte… pratica fortunatamente caduta in disgrazia!

La manifestazione è preceduta sabato 21 febbraio, da una Conferenza sulle “Feste d’inverno nelle valli occitane alpine: ritualità e simbologia, costumi e personaggi” (a cura di R.Pellerino, Associazione Espaci Occitan).

Quasi scomparsa dal paesaggio piemontese la figura dell’orso carnevalesco sembra dunque rivivere una nuova stagione insieme alla segale che, ricordiamo, è il più “alpino” fra i cereali e gode di un rinnovato interesse su tutta l’area transfrontaliera italia-svizzera.

I Carnevali alpini fra riti di fertilità e “trasgressione alimentare”

Il Carnevale, oltre alla sua valenza rituale, ha anche una connotazione culinaria che lo rende speciale!
Deriva, infatti, dal latino “carnemlevare” (eliminare la carne), poiché anticamente indicava il banchetto che si teneva subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima.
Nell'area alpina il Carnevale si è sovrapposto quasi ovunque a rituali ben più antichi che celebravano la fertilità della terra, anche attraverso i suoi prodotti. Il cibo, infatti, è elemento essenziale della cultura umana e lo vediamo entrare in rituali religiosi con una funzione simbolica e aggregante potentissima. Nell’immaginario comune il Carnevale ha come caratteristica peculiare la possibilità di non sottostare alle regole, anzi di rovesciarle o stravolgerle. E’ il trionfo di una specie di liberazione temporanea dal regime esistente, abolizione di rapporti gerarchici, di privilegi regole e tabù. Questa sorta di “ribellione” si traduce anche in una “trasgressione alimentare”, o meglio “grande abbuffata”!

I dolci che incontriamo sui territori in occasione del Carnevale sono per lo più fritti. Quest’usanza deriva dal fatto che in gennaio/febbraio la natura e le pratiche agricole prevedevano la macellazione dei suini con la conseguente abbondanza di grasso di maiale o strutto. Dal giovedì al martedì – settimana non a caso detta “grassa” – si friggevano i dolci nello strutto che andava consumato in fretta perché durante la lunghissima Quaresima, non essendoci frigoriferi, sarebbe sicuramente irrancidito.
Tutte le ricette sono derivate principalmente dalla preparazione di due elementi semplici, ma nello stesso tempo pregni di simbologia: la farina e l'acqua con l'aggiunta di condimenti vari.

A Sueglio (LC) in Valvarrone, in occasione del Carnevale si possono degustare le scarpasce, frittella salata tipica del posto. Ha la forma piatta che ricorda la suola di una scarpa e che trova nella farina, nel pane, nel latte ma anche nel riso e nel formaggio, gli ingredienti base anche se, trattandosi di un piatto tramandato, probabilmente non c’è una ricetta originale.

Il Carnevale piemontese della comunità walser, in Val Formazza (VB), prevede la preparazione dei gruschli, ancora oggi simbolo dell’ospitalità della comunità walser. Sono delle frittelle appiattite di forma romboidale, simili alle chiacchiere, alle bugie o alle frappe – nomi regionali che stanno a indicare il medesimo dolce – accompagnate spesso da panna montata. Erano preparati dalle donne nei momenti di festa, durante la sera del Natale e durante il Carnevale. Gli ingredienti, rimasti invariati, sono: latte, burro, uova, zucchero con l'aggiunta della grappa.

Il Carnevale valdostano di Étroubles, come molti altri Carnevali, prevede una ricchissima questua, occasione per celebrare la fertilità della terra e trasgredire prima del forzato digiuno. La bènda (banda) effettua all'incirca quattordici tappe dove ogni volta trova al suo passaggio abitanti che offrono bevande e cibo nelle loro taverne o garage.

Alcune ricette del Carnevale si sono perse ma altre sono sopravvissute e continuano a dimostrarsi “cibi” dalla forte connotazione aggregante, palesando come l’alimentazione sia un “documento vivo” che coinvolge intensamente le comunità!

Il formaggio Bitto fa rete: nasce il progetto “I prìncipi delle Orobie”

Il formaggio Bitto è uno dei simboli della produzione casearia lombarda e vanta anche un primato che ben pochi prodotti hanno: fu già protagonista dell’EXPO milanese del 1906! Senza contare la presenza all’Esposizione Nazionale del 1861 a Firenze e le menzioni nelle guide gastronomiche del Rinascimento.

Il nucleo storico della sua produzione s’individua nelle valli Gerola e Albaredo, formate dal torrente Bitto da cui prende il nome, in provincia di Sondrio, a un’altitudine che va dai 1.400 ai 2.000 metri.
Negli ultimi anni il “Consorzio per la salvaguardia del Bitto storico”, l'associazione di produttori di formaggio Bitto che comprende i 15 caricatori d'alpe rilevatari degli alpeggi storici, ha lavorato per il rispetto di un disciplinare ligio alla tradizione secolare.  Si fanno chiamare i “Ribelli del Bitto” e costituiscono un vero e proprio “movimento” legato al più ampio progetto “Resistenza Casearia”, sostenuto dall’Unione Europea e dalla Fondazione Slow Food. In più di vent’anni i caseari hanno difeso con tenacia un disciplinare di produzione severissimo: l'uso del 10-20% di latte di capre orobiche, la produzione esclusivamente sui pascoli durante i mesi estivi, l'uso della legna per alimentare il fuoco sotto il paiolo in cui si riscalda il latte etc…

In vista dell’EXPO, il Consorzio Bitto Storico, insieme a una rete di attori locali, sta definendo il progetto “I Prìncipi delle Orobie”. Sette valli, 8 formaggi, 13 alpeggi, 20 rifugi…Un circuito di vie dedicate ai formaggi orobici organizzati in diversi percorsi che si snodano lungo la dorsale orobica occidentale. Non solo Bitto, dunque, ma anche Strachitunt, Stracchino della Valsassina, Formaggio d'alpe dei Piani di Bobbio, Stracchino all'antica delle valli orobiche, Agrì di Valtorta, Bitto storico, Formagì di capra Orobica, Roviöla di capra. Una iniziativa rara in cui 8 formaggi prodotti in un territorio omogeneo si mettono insieme con un obiettivo comune: dimostrare la presenza di una “comunità di pratica” che difende metodi di produzione tradizionali. Un progetto in cui l’auto-organizzazione è elemento vincente. Tutta la comunità del territorio è infatti chiamata a interagire alla costruzione dei percorsi inviando waypoints, tracce (anche gpx), fotografie localizzate, piccole schede relative a manufatti, fatti storici, leggende ecc. Chi formulerà utili elementi sarà citato tra i “progettisti” del percorso.
I turisti potranno visitare gli alpeggi, utilizzare i rifugi, percorrere sentieri caratterizzati da testimonianze storiche (vie commerciali, miniere, chiese affrescate, borghi storici). Scoprire un’area che assomiglia sempre più a un vero e proprio distretto della biodiversità alpina. Non solo un circuito di formaggi d’alpeggio ma una comunità di pratica in azione!

Consulta
Consorzio per la salvaguardia del Bitto storico
Presidio Slow Food “Valli del Bitto”
RIbelli del Bitto – blog

La “Foire de Saint Ourse” nelle creazioni grafiche dei suoi manifesti

Prima di tutto c’è un numero, che incuriosisce e sorprende: la 1015° edizione della Foire de Saint Ourse! Sì, perché ad essere premiato, attraverso un bando di concorso indetto dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta, è un manifesto dedicato proprio a una Fiera millenaria che si tiene ogni anno il 30 e il 31 gennaio ad Aosta.

Fonti storiche documentano che sin dal Medio Evo la Fiera si svolgeva nel Borgo di Aosta, nell’area circostante la Collegiata che porta il nome di Sant'Orso. Racconti leggendari narrano che tutto ha avuto inizio di fronte la Chiesa dove il Santo, vissuto anteriormente al IX secolo, era solito distribuire ai poveri indumenti e “Sabot”, tipiche calzature in legno ancora oggi presentate in Fiera.
Sono questi alcuni dei riferimenti storici, insieme a tutti quegli elementi di “tipicità” che caratterizzano la Fiera, a diventare le fonti d’ispirazione per il lavoro dei creativi.
Da più di 40 anni, la Fiera di Sant’Orso è infatti promossa attraverso progetti grafici realizzati da noti artisti. Molti sono i manifesti ad opera del maestro (valdostano) della grafica, della pittura e del design, Franco Balan. In tempi più recenti, giurie di esperti hanno valutato non solo l’impatto visivo ma la correttezza e puntualità dei contenuti culturali. Il risultato è una collezione unica nel suo genere: una raccolta di manifesti a partire dalla 971° edizione, custoditi presso l’Archivio IVAT – Institut Valdôtain de l’Artisanat de Tradition.
Come annunciato dalla Giuria nello scorso dicembre, il vincitore che firma l’edizione 1015 °è il grafico aostano Elena Capra. Anche in quest’ultima creazione, determinante è stata la capacità di interpretare e riproporre quegli oggetti, quegli elementi del territorio e quei riferimenti simbolici che fanno la specificità della Fiera, rendendola unica e riconoscibile. Un processo di interpretazione che contribuisce in modo creativo alla trasmissione stessa del contenuto culturale dell'evento.

La Fiera, che ha la funzione di valorizzare l’artigianato di tradizione valdostana e che rappresenta soprattutto un appuntamento fortemente radicato e vitale, sarà visibile anche  attraverso la diretta video pubblicata sul sito web fieristico.  

Ma oltre alla visita alla Fiera, c'è un percorso di fruizione alternativo.
Quello che si è formato negli anni grazie al lavoro di documentazione dei manifesti sostenuto dall'Archivio IVAT.
Una raccolta di immagini poetiche che raccontano, attraverso la sintesi grafica, la complessità di significati che può esprimere, ancora oggi, una fiera millenaria.
Molto di più di una collezione di manifesti.
Un vero e proprio itinerario visivo dedicato all’ eredità culturale di una comunità.

Processioni con candele benedette per festeggiare il ritorno del sole

Il rito della Candelora, che cade il 2 febbraio, è la festa della Presentazione del Signore al Tempio e della Purificazione di Maria. Ma è anche una ritualità tipica del mondo contadino che propizia la primavera nei primi giorni di febbraio. Elemento costante è la benedizione delle candele bianche alle quali la pietà popolare attribuisce virtù contro le calamità, le tempeste e a protezione dei morenti.

A Viganella, paese piemontese della Valle Antrona (VB), la Candelora si celebra ogni anno il 2 febbraio per festeggiare il ritorno del sole nel centro storico del paese. A partire dai primi di novembre, infatti, la catena montuosa a sud del nucleo abitato fa da schermo all'insolazione invernale. La cerimonia coincide anche con lo spegnimento dello specchio solare che, in inverno, riflette i raggi del sole sulla piazza. Ma l’attrattiva principale della festa sono le “cavagnette”, gli alberi rituali portati in processione dalle donne sposate e la benedizione della “pescia”, l'albero su cui rami sono appesi i doni. I lunghi ceri bianchi completano il costume tipico delle donne del paese.
Sempre in Piemonte, la prima domenica di febbraio si tiene la festa della Candelora anche nella comunità Walser di Salecchio (VB), un interessantissimo incontro dove i Walser (rigorosamente vestiti con il costume tipico) accomunano una giornata per festeggiare la fine dell'inverno. Il percorso va da Salecchio Inferiore a Salecchio Superiore e rappresenta una sorta di pellegrinaggio nella neve con candele in mano. Si celebrerà quest’anno la domenica 8 febbraio 2015.
In Lombardia, nel Lodigiano, è festeggiata a Salerano sul Lambro (quest'anno la domenica 1 febbraio 2015), con candele benedette, musica e gli antichi piatti lodigiani.
Anche nella Bergamasca, ad Almenno San Salvatore presso il santuario di Nostra Signora del Castello, la Candelora è un evento molto partecipato. In questo giorno, ogni anno, scendono nella cripta e sostano in preghiera migliaia di persone provenienti dai paesi che in passato erano soggetti alla pieve di Almenno.

La festa della Candelora, diffusa in tutta Italia, si porta con sé anche una ricchissima serie di proverbi popolari che hanno importanti nessi con la meteorologia proprio per la collocazione del rito nel “mezzo inverno”. La Candelora veniva più precisamente presa in considerazione come segnale predittivo su cosa avrebbe riservato la seconda parte della stagione fredda. Un esempio, fra i proverbi più in voga in Lombardia ma esistente in numerose varianti in tutta Italia, recita:

La Madonna Candelora
dell'inverno semo fora,
ma se piove o tira vento
dell'inverno semo dentro;
sole o solicello quaranta dì d'invernicello.
(Anonimo)