Rilancio del Popoc da marz in Val Poschiavo

In Val Poschiavo , con la tradizionale festa “Popoc dal prim da marz” ( “Pupazzo del 1° Marzo”) la comunità ha scacciato l’inverno ed accolto la primavera!
Le origini di questa tradizione risalgono all’età precristiana. Per i Romani alle calende di marzo (il 1° marzo) iniziava l’anno nuovo e nel Medio Evo in numerosi comuni retici le autorità entravano in carica. Con questo retroscena in molte regioni dell’arco alpino si rinnovano ogni anno diverse usanze per scacciare l’ inverno e salutare la primavera.

La festa negli anni si è andata progressivamente perdendo, presentandosi nelle ultime edizioni come una confusa interpretazione in chiave carnevalesca. Ecco perchè a Poschiavo è stato coinvolto un gruppo di lavoro espressamente incaricato di recuperare alcuni elementi storici attraverso attività svolte all’interno della programmazione scolastica.

Quest’anno il corteo per il borgo è infatti tornato ad essere caratterizzato dal chiassoso frastuono dei campanacci, dalle grida che “scacciano l’inverno e chiamano l’erba “(ciamà l’erba) e dai canti che invitano la primavera a tornare. Gli impressionanti “Popoc”, costruiti autonomamente dagli scolari e trasportati con l’ausilio di carri, da semplici fantocci di paglia si sono evoluti in laboriose installazioni, che riprendono problemi di attualità come guerre, disoccupazione e inquinamento.
Una manifestazione più in linea con la tradizione che ha riscoperto canti ma anche espresso un sentito momento di critica sociale, riflettendo così l'evoluzione sociale e il mutamento della percezione collettiva della stagione invernale. A questa si aggiunge, attraverso la responsabilità concessa ai ragazzi nell'organizzazione e realizzazione autonoma dell'evento, un valore di iniziazione alla vita adulta.

Il Carnevale di “segale”: il cereale di montagna diventa abito rituale

Non solo pane, non solo paglia per la lettiera degli animali o materiale isolante per la costruzione dei tetti. La segale o meglio la paglia di segale diventa anche abito rituale in occasione del Carnevale!
E’ il Carnevale Alpino di Valdieri (CN) nel cuneese che ha quale indiscusso protagonista l’Orso di paglia di segale, ripresentato dall’Ecomuseo della Segale (con il sostegno del Parco naturale delle Alpi Marittime e dal Comune di Valdieri), recuperando la memoria di un anziano del luogo che da giovane aveva interpretato più di una volta la mitica figura carnevalesca.

Dopo un lungo periodo d’interruzione durato circa quarant’anni, a partire dal 2007, l’Orso è ritornato a correre per le vie di Valdieri. Spaventa i bambini, fugge dai domatori, importuna le donne, evita l’acquasanta dei frati esorcisti: il suo risveglio dal letargo comunica alla gente che la cattiva stagione sta per finire. Nella tradizione l’orso emetteva ringhi minacciosi, faceva i dispetti, insolentiva le donne e ne sceglieva infine una per ballare. Al termine della festa l’orso di segale fuggiva, allontanandosi all’orizzonte nonostante gli sforzi e i richiami del domatore: al suo posto iniziava a bruciare su una catasta di legno un fantoccio (cicho) di paglia di segale. Nelle versioni di oggi l’irruzione dell’orso di segale, avviene di pomeriggio, nella piazza principale. Scende dalla montagna per esibirsi – secondo un copione rimasto invariato – con ruggiti, mattane e dispetti. Da circa cinque anni, l’orso non viene più rivestito con la lunga treccia di segale che si usava una volta, ma indossa un costume su cui la corda di paglia è stata fissata una volta per tutte.

Questa edizione della manifestazione si arricchirà della presenza di un altro orso mitologico quello di Monpantero di Urbiano in Valle Susa. Sfileranno insieme nel centro storico di Valdieri con le altre figure tradizionali del carnevale locale: la Quaresima, i Perulier e i Frà che declameranno le “epistule”: frasi scherzose e ironiche su personaggi famosi e abitanti delle frazioni vicine.
A pranzo si rinnova la consuetudine della distribuzione degli gnocchi da parte della Proloco sotto i portici del Municipio. Una distribuzione che un tempo era somministrata gratuitamente ai valdieresi che si presentavano muniti di vaso da notte… pratica fortunatamente caduta in disgrazia!

La manifestazione è preceduta sabato 21 febbraio, da una Conferenza sulle “Feste d’inverno nelle valli occitane alpine: ritualità e simbologia, costumi e personaggi” (a cura di R.Pellerino, Associazione Espaci Occitan).

Quasi scomparsa dal paesaggio piemontese la figura dell’orso carnevalesco sembra dunque rivivere una nuova stagione insieme alla segale che, ricordiamo, è il più “alpino” fra i cereali e gode di un rinnovato interesse su tutta l’area transfrontaliera italia-svizzera.

I Carnevali alpini fra riti di fertilità e “trasgressione alimentare”

Il Carnevale, oltre alla sua valenza rituale, ha anche una connotazione culinaria che lo rende speciale!
Deriva, infatti, dal latino “carnemlevare” (eliminare la carne), poiché anticamente indicava il banchetto che si teneva subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima.
Nell'area alpina il Carnevale si è sovrapposto quasi ovunque a rituali ben più antichi che celebravano la fertilità della terra, anche attraverso i suoi prodotti. Il cibo, infatti, è elemento essenziale della cultura umana e lo vediamo entrare in rituali religiosi con una funzione simbolica e aggregante potentissima. Nell’immaginario comune il Carnevale ha come caratteristica peculiare la possibilità di non sottostare alle regole, anzi di rovesciarle o stravolgerle. E’ il trionfo di una specie di liberazione temporanea dal regime esistente, abolizione di rapporti gerarchici, di privilegi regole e tabù. Questa sorta di “ribellione” si traduce anche in una “trasgressione alimentare”, o meglio “grande abbuffata”!

I dolci che incontriamo sui territori in occasione del Carnevale sono per lo più fritti. Quest’usanza deriva dal fatto che in gennaio/febbraio la natura e le pratiche agricole prevedevano la macellazione dei suini con la conseguente abbondanza di grasso di maiale o strutto. Dal giovedì al martedì – settimana non a caso detta “grassa” – si friggevano i dolci nello strutto che andava consumato in fretta perché durante la lunghissima Quaresima, non essendoci frigoriferi, sarebbe sicuramente irrancidito.
Tutte le ricette sono derivate principalmente dalla preparazione di due elementi semplici, ma nello stesso tempo pregni di simbologia: la farina e l'acqua con l'aggiunta di condimenti vari.

A Sueglio (LC) in Valvarrone, in occasione del Carnevale si possono degustare le scarpasce, frittella salata tipica del posto. Ha la forma piatta che ricorda la suola di una scarpa e che trova nella farina, nel pane, nel latte ma anche nel riso e nel formaggio, gli ingredienti base anche se, trattandosi di un piatto tramandato, probabilmente non c’è una ricetta originale.

Il Carnevale piemontese della comunità walser, in Val Formazza (VB), prevede la preparazione dei gruschli, ancora oggi simbolo dell’ospitalità della comunità walser. Sono delle frittelle appiattite di forma romboidale, simili alle chiacchiere, alle bugie o alle frappe – nomi regionali che stanno a indicare il medesimo dolce – accompagnate spesso da panna montata. Erano preparati dalle donne nei momenti di festa, durante la sera del Natale e durante il Carnevale. Gli ingredienti, rimasti invariati, sono: latte, burro, uova, zucchero con l'aggiunta della grappa.

Il Carnevale valdostano di Étroubles, come molti altri Carnevali, prevede una ricchissima questua, occasione per celebrare la fertilità della terra e trasgredire prima del forzato digiuno. La bènda (banda) effettua all'incirca quattordici tappe dove ogni volta trova al suo passaggio abitanti che offrono bevande e cibo nelle loro taverne o garage.

Alcune ricette del Carnevale si sono perse ma altre sono sopravvissute e continuano a dimostrarsi “cibi” dalla forte connotazione aggregante, palesando come l’alimentazione sia un “documento vivo” che coinvolge intensamente le comunità!

Il formaggio Bitto fa rete: nasce il progetto “I prìncipi delle Orobie”

Il formaggio Bitto è uno dei simboli della produzione casearia lombarda e vanta anche un primato che ben pochi prodotti hanno: fu già protagonista dell’EXPO milanese del 1906! Senza contare la presenza all’Esposizione Nazionale del 1861 a Firenze e le menzioni nelle guide gastronomiche del Rinascimento.

Il nucleo storico della sua produzione s’individua nelle valli Gerola e Albaredo, formate dal torrente Bitto da cui prende il nome, in provincia di Sondrio, a un’altitudine che va dai 1.400 ai 2.000 metri.
Negli ultimi anni il “Consorzio per la salvaguardia del Bitto storico”, l'associazione di produttori di formaggio Bitto che comprende i 15 caricatori d'alpe rilevatari degli alpeggi storici, ha lavorato per il rispetto di un disciplinare ligio alla tradizione secolare.  Si fanno chiamare i “Ribelli del Bitto” e costituiscono un vero e proprio “movimento” legato al più ampio progetto “Resistenza Casearia”, sostenuto dall’Unione Europea e dalla Fondazione Slow Food. In più di vent’anni i caseari hanno difeso con tenacia un disciplinare di produzione severissimo: l'uso del 10-20% di latte di capre orobiche, la produzione esclusivamente sui pascoli durante i mesi estivi, l'uso della legna per alimentare il fuoco sotto il paiolo in cui si riscalda il latte etc…

In vista dell’EXPO, il Consorzio Bitto Storico, insieme a una rete di attori locali, sta definendo il progetto “I Prìncipi delle Orobie”. Sette valli, 8 formaggi, 13 alpeggi, 20 rifugi…Un circuito di vie dedicate ai formaggi orobici organizzati in diversi percorsi che si snodano lungo la dorsale orobica occidentale. Non solo Bitto, dunque, ma anche Strachitunt, Stracchino della Valsassina, Formaggio d'alpe dei Piani di Bobbio, Stracchino all'antica delle valli orobiche, Agrì di Valtorta, Bitto storico, Formagì di capra Orobica, Roviöla di capra. Una iniziativa rara in cui 8 formaggi prodotti in un territorio omogeneo si mettono insieme con un obiettivo comune: dimostrare la presenza di una “comunità di pratica” che difende metodi di produzione tradizionali. Un progetto in cui l’auto-organizzazione è elemento vincente. Tutta la comunità del territorio è infatti chiamata a interagire alla costruzione dei percorsi inviando waypoints, tracce (anche gpx), fotografie localizzate, piccole schede relative a manufatti, fatti storici, leggende ecc. Chi formulerà utili elementi sarà citato tra i “progettisti” del percorso.
I turisti potranno visitare gli alpeggi, utilizzare i rifugi, percorrere sentieri caratterizzati da testimonianze storiche (vie commerciali, miniere, chiese affrescate, borghi storici). Scoprire un’area che assomiglia sempre più a un vero e proprio distretto della biodiversità alpina. Non solo un circuito di formaggi d’alpeggio ma una comunità di pratica in azione!

Consulta
Consorzio per la salvaguardia del Bitto storico
Presidio Slow Food “Valli del Bitto”
RIbelli del Bitto – blog

La “Foire de Saint Ourse” nelle creazioni grafiche dei suoi manifesti

Prima di tutto c’è un numero, che incuriosisce e sorprende: la 1015° edizione della Foire de Saint Ourse! Sì, perché ad essere premiato, attraverso un bando di concorso indetto dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta, è un manifesto dedicato proprio a una Fiera millenaria che si tiene ogni anno il 30 e il 31 gennaio ad Aosta.

Fonti storiche documentano che sin dal Medio Evo la Fiera si svolgeva nel Borgo di Aosta, nell’area circostante la Collegiata che porta il nome di Sant'Orso. Racconti leggendari narrano che tutto ha avuto inizio di fronte la Chiesa dove il Santo, vissuto anteriormente al IX secolo, era solito distribuire ai poveri indumenti e “Sabot”, tipiche calzature in legno ancora oggi presentate in Fiera.
Sono questi alcuni dei riferimenti storici, insieme a tutti quegli elementi di “tipicità” che caratterizzano la Fiera, a diventare le fonti d’ispirazione per il lavoro dei creativi.
Da più di 40 anni, la Fiera di Sant’Orso è infatti promossa attraverso progetti grafici realizzati da noti artisti. Molti sono i manifesti ad opera del maestro (valdostano) della grafica, della pittura e del design, Franco Balan. In tempi più recenti, giurie di esperti hanno valutato non solo l’impatto visivo ma la correttezza e puntualità dei contenuti culturali. Il risultato è una collezione unica nel suo genere: una raccolta di manifesti a partire dalla 971° edizione, custoditi presso l’Archivio IVAT – Institut Valdôtain de l’Artisanat de Tradition.
Come annunciato dalla Giuria nello scorso dicembre, il vincitore che firma l’edizione 1015 °è il grafico aostano Elena Capra. Anche in quest’ultima creazione, determinante è stata la capacità di interpretare e riproporre quegli oggetti, quegli elementi del territorio e quei riferimenti simbolici che fanno la specificità della Fiera, rendendola unica e riconoscibile. Un processo di interpretazione che contribuisce in modo creativo alla trasmissione stessa del contenuto culturale dell'evento.

La Fiera, che ha la funzione di valorizzare l’artigianato di tradizione valdostana e che rappresenta soprattutto un appuntamento fortemente radicato e vitale, sarà visibile anche  attraverso la diretta video pubblicata sul sito web fieristico.  

Ma oltre alla visita alla Fiera, c'è un percorso di fruizione alternativo.
Quello che si è formato negli anni grazie al lavoro di documentazione dei manifesti sostenuto dall'Archivio IVAT.
Una raccolta di immagini poetiche che raccontano, attraverso la sintesi grafica, la complessità di significati che può esprimere, ancora oggi, una fiera millenaria.
Molto di più di una collezione di manifesti.
Un vero e proprio itinerario visivo dedicato all’ eredità culturale di una comunità.

Processioni con candele benedette per festeggiare il ritorno del sole

Il rito della Candelora, che cade il 2 febbraio, è la festa della Presentazione del Signore al Tempio e della Purificazione di Maria. Ma è anche una ritualità tipica del mondo contadino che propizia la primavera nei primi giorni di febbraio. Elemento costante è la benedizione delle candele bianche alle quali la pietà popolare attribuisce virtù contro le calamità, le tempeste e a protezione dei morenti.

A Viganella, paese piemontese della Valle Antrona (VB), la Candelora si celebra ogni anno il 2 febbraio per festeggiare il ritorno del sole nel centro storico del paese. A partire dai primi di novembre, infatti, la catena montuosa a sud del nucleo abitato fa da schermo all'insolazione invernale. La cerimonia coincide anche con lo spegnimento dello specchio solare che, in inverno, riflette i raggi del sole sulla piazza. Ma l’attrattiva principale della festa sono le “cavagnette”, gli alberi rituali portati in processione dalle donne sposate e la benedizione della “pescia”, l'albero su cui rami sono appesi i doni. I lunghi ceri bianchi completano il costume tipico delle donne del paese.
Sempre in Piemonte, la prima domenica di febbraio si tiene la festa della Candelora anche nella comunità Walser di Salecchio (VB), un interessantissimo incontro dove i Walser (rigorosamente vestiti con il costume tipico) accomunano una giornata per festeggiare la fine dell'inverno. Il percorso va da Salecchio Inferiore a Salecchio Superiore e rappresenta una sorta di pellegrinaggio nella neve con candele in mano. Si celebrerà quest’anno la domenica 8 febbraio 2015.
In Lombardia, nel Lodigiano, è festeggiata a Salerano sul Lambro (quest'anno la domenica 1 febbraio 2015), con candele benedette, musica e gli antichi piatti lodigiani.
Anche nella Bergamasca, ad Almenno San Salvatore presso il santuario di Nostra Signora del Castello, la Candelora è un evento molto partecipato. In questo giorno, ogni anno, scendono nella cripta e sostano in preghiera migliaia di persone provenienti dai paesi che in passato erano soggetti alla pieve di Almenno.

La festa della Candelora, diffusa in tutta Italia, si porta con sé anche una ricchissima serie di proverbi popolari che hanno importanti nessi con la meteorologia proprio per la collocazione del rito nel “mezzo inverno”. La Candelora veniva più precisamente presa in considerazione come segnale predittivo su cosa avrebbe riservato la seconda parte della stagione fredda. Un esempio, fra i proverbi più in voga in Lombardia ma esistente in numerose varianti in tutta Italia, recita:

La Madonna Candelora
dell'inverno semo fora,
ma se piove o tira vento
dell'inverno semo dentro;
sole o solicello quaranta dì d'invernicello.
(Anonimo)

Gli antichi riti contadini di cacciata dell’inverno risuonano nelle notti gelide di gennaio

I riti di “Cacciata di Gennaio” tornano puntualmente il 31 gennaio, sfidando maltempo e pronti ad allontanare un altro terribile inverno! Alle prime ombre notturne si formano i rumorosi cortei, un frastuono volutamente assordante prodotto con la percussione di campanacci, piatti da cucina, campanelli, scatole di metallo che anticipano il vero e proprio rogo del fantoccio, simbolo dell’ inverno.
Alcuni dettagli distinguono  le diverse formule ancora vive sui territori.

A Premana (LC), gli attori principali della “Casciada de ginger” sono i bambini. I piccoli cominciano giorni prima a preparare un proprio pupazzo che verrà bruciato la sera della festa. Imbottiti con carta o paglia, i tratti del viso dipinti o ricamati e i vestiti cuciti a mano, questi fantocci faranno parte del chiassoso corteo che attraversa le vie del paese.

Anche a Mandello del Lario (LC) i protagonisti sono i bambini che camminano trascinando sull'acciottolato scatole di latta, bottiglie di plastica, tappi e oggetti da cucina che suonano e risuonano sbattendo l'uno contro l'altro. In questo caso però il fantoccio è uno solo: un pupazzo di carta con la faccia disegnata, che, seduto su un baldacchino, viene trasportato in spalla da quattro bambini.

La “Scasada del Zenerù” a Ardesio (BG) vede il coinvolgimento intenso di tutti gli abitanti dell’ Alta Valseriana. Una vera e propria nottata di magia, un evento rituale patrocinato da Regione Lombardia – Commercio, Turismo e Terziario, dalla Provincia di Bergamo e da molti altri Enti Pubblici sul territorio. Alle ore 20.00 parte il corteo a cui  partecipare picchiando su pentole e latte fino al  rogo dello “Zenerù”, pupazzo che alcuni giovani del paese preparano per simboleggiare il mese di gennaio! Ogni hanno gli organizzatori propongono un tema che farà da “sceneggiatura” allo svolgersi del rito: tema del 2015 “Vendöl di Ludrigno”! Come spiegano gli organizzatori: “… il Zenerù proverà a sfuggirci ma sarà travolto dalla valanga di Ludrigno e nonostante i tentativi di sciogliere la neve con il fuoco, come sempre lo spaventeremo, lo cattureremo e lo manderemo al rogo, bruciando così, con lui, la cattiva stagione in attesa del risveglio della Natura!” (Proloco di Ardesio)

A Olda, in Val Taleggio (BG), si riuniscono gli abitanti della Valle provenienti da Sottochiesa, Vedeseta e Peghera e il corteo si apre alle grida “l'è fò génèr l'è scià fébrèr!”. Il fantoccio bianco brucia dopo una lunga caciara prodotta con la percussione di ciòche (campanacci), piatti da cucina, corni, campanelli e tole (scatole di metallo).

Anche in Valtellina il rito è molto vissuto dalla comunità:  i comuni di Tirano, Bormio e Aprica (SO) fanno staffetta a partire dalla serata del 31 gennaio. Si inzia con il rito “Tirà li tòli” a Tirano e si continua il 3 febbario con “L’è fö l’urs de la tana”, un’usanza  in cui bambini e adulti faranno a gara, ricorrendo a pretesti e stratagemmi più o meno verosimili, per far uscire dalla propria abitazione amici e parenti, gridando “L’è fö l’urs de la tana”, cioè è uscito l’orso dalla tana dopo il lungo inverno. Si continua il 1 marzo a Aprica dove andrà in scena il tradizionale “Sunà da Mars”, antichissima usanza di chiamare l’erba con campanacci e campanelli percossi ritmicamente da sei “scampanatori” in costume tipico, in rappresentanza delle sei contrade del paese.

Nel Canton Ticino, in Svizzera, sono due gli appuntamenti importanti: a Chironico con il “Cóvo d sgianéi” (coda di gennaio) che ha ritrovato un certo vigore grazie all’iniziativa di un locale gruppo d’animazione. E a Locarno con il “Bandir Gennaio”, in cui moltissime famiglie con bambini si danno appuntamento per rinnovare il divertente corteo.

Anche quest’ anno, dunque, gli antichissimi riti contadini di cacciata dell’inverno risuonano nelle notti gelide di gennaio per la gioia dei più piccoli!

Le Giubiane della Brianza: al rogo streghe e castellane!

La Giubiana è una festa tradizionale molto diffusa sul territorio brianzolo che attribuisce al rogo della strega diversi significati. Per qualcuno rappresenta la brutta stagione. Per altri è il simbolo del freddo e del gelo dell’Inverno che ormai se ne stanno andando. Altri ancora la ritengono la castellana traditrice della città. C’è chi la interpreta come il simbolo di divinità pagane o semplicemente qualcosa di negativo che si cerca di “scacciare”, cancellandolo nel fuoco.

A Seregno, per esempio, al rogo va la “Giubiana e il Giané”! La leggenda narra infatti che la terribile megera che viveva nei boschi fitti della Brianza, aveva anche un marito, il Gianè, e insieme allontanavano o colpivano chiunque osasse sfidarli mettendo paura con le loro gambe lunghe. Al rogo ci vanno insieme come recita il detto locale: “la Giubiana e il Giane' van in lech cun frech 'i pe'!”

A Canzo la ricorrenza è particolarmente articolata. Viene celebrato un processo in canzese con la sentenza dei Regiuu (gli anziani autorevoli del paese), e altri personaggi simbolici e tradizionali, quali l'Òmm Selvadech (uomo selvatico, personaggio della mitologia alpina), l'Urzu (“orso”, che esce dalla tana alla Cròta dal Bavèsc, simbolo della forza istintiva che deve essere domata) e il Casciadùr (“cacciatore”, che doma e fa ballare l'orso), il Bòja (“boia” che rappresenta la condanna del male)… La festa è arricchita da vestiti tradizionali e da suggestivi ornamenti, tra cui la gamba russa (cioè rossa) e i paramenti a lutto, com'è anche la musica dei tamburi e dei baghèt.

A Cantù la tradizione popolare vuole che il manichino che viene arso su una pira, alla presenza del popolo e delle autorità, rappresenti la castellana traditrice della città. La Giubiana è diventata, pertanto, una sorta di rito celebrativo dell'identità e dell'orgoglio cittadini. Quest’anno l’arrivo della Giubiana è anticipato da “La Giubiana in mostra”, un’esposizione fotografica nata dalla sinergia tra l’associazione Pro Cantù, responsabile dell’organizzazione della festa dal 1905, e il gruppo fotografico La Pesa. Non è solo la mostra ad anticipare il rogo. Già dal 22 gennaio la bella castellana dai capelli rossi è visibile nei bar della città: la tradizione vuole infatti che la giovane, diventata strega e poi nemica, venga esposta a un moderno pubblico che la schernisce chiassosamente.

Elemento costante in tutte le manifestazioni è il consumo del risotto allo zafferano con salsiccia (lügànega), ricetta brianzola che per la tradizione fu il tranello escogitato per trattenere la strega e indurla a mangiare finché i primi raggi del sole ne bruceranno il corpo legnoso.
Ed è fitta la rete di comunità che continuano a vivere il rito. Un' occasione d’aggregazione sociale che rafforza il legame con il territorio: Anzano del Parco, Bregnano, Mariano Comense, Barzago, Cucciago, Dolzago, Albavilla, Alzate Brianza, Cabiate, Varenna, Costa Lambro, Canzo, Carate Brianza…

Gibiana nella bassa Brianza, Giubiana/Giübiana/Gibiana nell’alta Brianza e nella provincia di Como, Giöeubia nel Varesotto, Giobbia in Piemonte, Zobiana in Trentino e nel Bresciano… alla fine, in qualsiasi variante si presenti, la “vecchia traditrice” brucerà al rogo!

Corso di Perfezionamento in Beni Culturali Antropologici 2015

Il Corso di Perfezionamento in Beni Culturali Antropologici, V Edizione 2015, giovane e inedita proposta didattica ideata dalla Prof.ssa Marinella Carosso, forma ai mestieri della cultura nell’ottica antropologica. Si pone come mission l’incontro con le parti sociali al fine di creare reti di ricerca sul territorio regionale e nazionale. Il Corso è aperto a interessati di ogni formazione e di ogni età, senza alcuna limitazione; anzi, la diversità è proprio il di più che arrichisce e personalizza in modo unico ogni edizione.

Valutato dai perfezionati delle precedenti edizioni il corpo docente, così come l’impianto degli incontri, tiene conto delle loro richieste, esigenze, proposte, rinnovandosi ogni anno in modo dinamico e propositivo. Le lezioni, concepite ed agite come un testo, sono cuore pulsante di un dibattito critico e creativo che mette a confronto relatori e perfezionandi, in uno scambio intersociale e intergenarazionale.

Sono previsti quattro moduli: due di inquadramento del concetto di beni culturali antropologici in vari Paesi europei e di analisi di musei etnografici; due sul processo di patrimonializzazione dell’alimentazione e sulla progettazione delle culture dell’alimentazione

L’edizione 2015, infatti, è iscritta nell’ambito di Laboratorio EXPO MILANO 2015, coordinato dalla Fondazione Feltrinelli ed è convenzionata con MuCEM – Musée des civilisations de l'Europe et de la Méditerranée.

Le lezioni si svolgeranno ogni mercoledì pomeriggio, dale 14 alle 18, dal 1 Aprile all’8 Luglio.
La presentazione della domanda va fatta online entro il 15 febbraio 2015, e la selezione avviene per titoli. Per ottenere 12 crediti formativi è richiesta la frequenza al 75% delle lezioni, l’elaborazione di recensioni e di un project work.
Il costo è di 1.000 euro per gli iscritti e di 800 per i liberi uditori.

Nel collegio docenti troviamo nomi nazionali e internazionali come Julia Csergo (Montréal), Noel Barbe (Paris), Jean Guibal (Grénoble), Marion Demossier (Southampton), Stefan Moritz (Bruxelles), Rachel Black (Boston), Daniela Perco (Museo Etnografico della Provincia di Belluno), Mario Turci (Museo Ettore Guatelli, Ozzano Taro), Danilo Gasparini (Padova), Elisabetta Moro (Napoli), Ferdinando Mirizzi (Matera), Vito Teti (Cosenza), Renata Meazza (AESS – Archivio di Etnografia e Storia Sociale – Regione Lombardia, Milano), Luigi Degano (Fondazione Morando Bolognini, Sant’Angelo Lodigiano), Marinella Carosso (Università di Milano-Bicocca).

Le lezioni in lingua saranno introdotte e tradotte simultaneamente.

Per informazioni
Carlotta Cortona
377 264 68 34
beniculturaliantropologici@unimib.it

La notte dei falò nella campagna milanese

Nella notte del 17 gennaio si riaccendono i tradizionali falò per festeggiare la ricorrenza liturgica di Sant’Antonio Abate! Un suggestivo gioco di luci e bagliori sprigionati dalle fiamme celebrano un rito millenario e propiziatorio legato alla figura di Sant’Antonio, patrono di macellai, salumieri, contadini e allevatori e protettore degli animali domestici. Molte le comunità che si radunano attorno a grandi pire di legna e sterpi che bruciano fino alla prime luci dell’alba in un clima di festa in cui si balla e si consumano vin brulè e dolci casalinghi.

In particolare numerosi saranno i falò che rischiareranno le notti della campagna milanese. Quella che si appresta a vivere la periferia di Milano sarà infatti una sorta di “fine settimana dei Falò di Sant’Antonio”, con un ricco programma anticipato il 12 gennaio in occasione del Convegno “La periferia dei Falò di Sant’Antonio”, 1° appuntamento del 3° ciclo “Periferia InConTra”, promosso da Consulta Periferie Milano, all’Urban Center di Milano. Il tema dell'ambiente periferico e delle sue potenzialità socio-culturali trova nelle cascine lombarde un modello virtuoso di convivenza e condivisione di valori in cui pratiche sociali e rituali emergono non solo come segni della “memoria” ma come vere e proprie occasioni contemporanee per riflettere e ristabilire contatti con le nostre eredità culturali. Sant’Antonio Abate è infatti una figura molto venerata nel milanese e fa parte della tradizione,  nelle cascine ad Ovest di Milano, trarre auspici dal movimento della “barba” del santo, ovvero dalla fine sospensione di materiale incandescente che i contadini producono smuovendo con forche da fieno la brace del falò quando la fiamma viva del materiale combustibile si è spenta.

Non solo presso le aie delle cascine ma anche in alcuni parchi pubblici di Milano la ritualità dei falò vive con la tradizionale benedizione degli animali domestici a cui segue un lungo momento di festa spesso contaminato dall’introduzione di nuovi elementi come il consumo di vin brulè, frittelle, polenta… Anche la tecnica di costruzione della “pira” è stata oggetto di nuove interpretazioni. È il caso del metodo “falò scientifico” ideato anni fa da Ferruccio Vanzù (Associazione Amici Cascina Linterno) dove la catasta è costruita su una piattaforma aerea a quattro entrate, sotto la quale l'aria può affluire per un’ottimale combustione del legname soprastante. Non solo. A Muggiano, nel milanese, ogni anno la costruzione della pira cambia forma. I bancali e rami secchi che la compongono sono stati negli anni disposti in modo da formare un grosso cubo, una forma a panettone, una piramide ispirata alle costruzioni dei Maya e una torre a chiocciola…

Oltre ai falò milanesi sono decine gli appuntamenti in tutta la Lombardia soprattutto nelle province di Varese, Lodi e Monza Brianza, ma anche nell'alto mantovano dove l'accensione del “buriel” è diffusa con il rogo del feticcio della vecchia.
A Varese  il Falò di Sant’Antonio può essere seguito attraverso il livebloggin: con la diretta blog il rito sembra entrare a tutti gli effetti nel palinsesto degli eventi più attesi dell’inverno, dimostrando il crescente bisogno di stabilire relazioni attraverso il recupero di ritualità culturali da promuovere e raccontare anche attraverso i social network (per partecipare, via twitter e Instagram, utilizzare l'hashtag #falovarese2015, le prime foto sono già su facebook.
Il Falò di Sant’Antonio è dunque un rito che incontra sempre più interesse, è espressione di un legame fra passato e futuro che ci ricorda la forte presenza agricola sul territorio lombardo, un gesto di vicinanza a chi lavora la terra!

Falò di Sant’Antonio a Milano è una iniziativa di Progetto “AgriCultura”
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Falò di Sant’Antonio a Vittuone
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Falò di Sant'Antonio Borgo di Mustonate
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Falò di Sant'Antonio a Varese
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