L'elemento che contraddistingue il Carnevale è il travestimento, la maschera. Maschere realizzate con stoffa, pelli e corna animali, scolpite nel legno o plasmate con la cartapesta e maschere commerciali in plastica che si mescolano ormai, con sempre maggior frequenza, a quelle tradizionali. Maschere di animali, di diavoli e santi, di vecchi e vecchie, di ambulanti, preti, medici, di gendarmi e poi maschere femminili interpretate da maschi, maschere doppie (la vecchia che porta in spalla il vecchio). Maschere di “belli” e di “brutti”, caricaturalmente eleganti i primi e caricaturalmente rozzi i secondi, come nella dicotomia degli Zanni della Commedia dell'Arte e dei clown del circo.
La maschera assolve non solo alla funzione di occultamento dell'identità ma anche a una radicale trasformazione della personalità che consente ai soggetti che la indossano di agire “come se” non fossero sé stessi, anche attraverso l'inibizione della comunicazione attraverso la mimica facciale e l'alterazione della gestualità consueta. Altera l'equilibrio, fisico e psichico, di chi la indossa, la maschera, e crea, non solo per quello che rappresenta ma soprattutto per il fatto di imporre una presenza ambigua, umana/disumana, un effetto perturbante in chi la osserva.
I Carnevali tradizionali sono rappresentazioni strutturate, che seguono un copione, variabile spesso, che possono essere sospese dalla comunità che li esprime, per periodi più o meno lunghi, e poi riattivate, con cambiamenti ed elementi distintivi che permangono. Che si tratti di un corteo (Carnevale di Valtorta e Carnevale di Pagnona), di un ballo (Carnevale di Livemmo), di entrambe le cose (Carnevale di Bagolino e Carnevale di Ponte Caffaro) o della rappresentazione di un vero e proprio copione teatrale (Carnevale di Dossena), il Carnevale mantiene comunque elementi di formalizzazione, che contengono l'eccesso, lo incanalano, lo rendono rito.
(Guido Bertolotti)